C’è chi l’ha definito un circo, chi il mercato delle vacche. Certo, l’incipit del nuovo corso della Regione Toscana non è stato tra i più felici per il centrosinistra. A 30 giorni esatti dalle elezioni, infatti, ad oggi la Toscana non ha ancora una giunta ufficiale. O meglio, ce l’ha per sette ottavi, perché ieri il neo presidente Eugenio Giani, in una giornata a dir poco schizofrenica, ha comunicato intorno alle 20 i nomi dei suoi assessori. Tutti tranne uno. Quell’ultimo, sarà reso noto domani. Nella giornata delle finestre (che a dir la verità ha ricordato a qualcuno La notte dei lunghi coltelli), come verrà ricordata per via del continuo andirivieni di consiglieri, rappresentanti, notabili che accompagnavano una sigaretta alle loro trattative, affacciati alle finestre di Palazzo del Pegaso, è successo di tutto. Con un finale che sapeva di sutura last second, per salvare capre e cavoli (e maggioranze).
E pensare che la giornata di ieri era iniziata tranquilla. Domenica Italia Viva era finita sui giornali per l’accordo (dato per certo) con cui Alessandro Cosimi avrebbe ottenuto l’assessorato alla Sanità. Ma già a metà mattinata di ieri il clima era cambiato: il PD, a quanto pare, aveva posto un veto, non tanto sulla persona, quanto sulla carica, la più importante. Saltato l’accordo per Cosimi, Italia Viva avrebbe dunque minacciato di passare all’opposizione. Strappo poi recuperato nel pomeriggio, ma non abbastanza in fretta da raggiungere l’accordo per l’assessorato. Giani e i suoi si sono dunque presi 48 ore per ridisegnare il quadro.

La cosa di per sé non sarebbe grave, se soltanto non fosse successa all’ultimo miglio, convocando in pompa magna il primo Consiglio Regionale per poi impantanarsi nel gioco delle tre carte di correnti e forze politiche. Oltretutto senza che la data fosse stringente, visto che Giani aveva ancora una settimana a disposizione per formare la squadra (detto che un mese era già più che sufficiente). Ma il bad day di Giani e compagni non è finito qui. Altro caso eclatante (forse addirittura lo scivolone più grande), quello con cui è partito il mandato del neo Presidente del Consiglio Regionale, Antonio Mazzeo, impallinato nelle prime due votazioni da una caterva di schede bianche. Il suo nome si è affermato soltanto dopo due sospensioni del Consiglio e innumerevoli trattative. Qui, a pesare, sarebbe stata la territorialità, ovvero il fatto che Arezzo (di cui sono espressione i consiglieri Ceccarelli e De Robertis) non aveva ottenuto ruoli di peso, mentre Pisa (da cui provengono Nardini e Mazzeo) aveva già conquistato un assessorato (la prima) e la candidatura alla presidenza del consiglio (il secondo). Per questo, mancando la quadra interna al PD, ci sono volute tre votazioni e il ricorso alla maggioranza assoluta, per eleggerlo. Imbarazzo per i presenti, rabbia per gli assenti, noia e fastidio (comprensibili) per la maggior parte dei non addetti ai lavori.
Ma la giornata ha visto anche il caso Prato, più piccolo ma comunque rilevante, con gli zingarettiani contrari alla nomina di Ciuoffo, sconfessato in quanto appartenente alla linea di Biffoni e Ciolini, quest’ultimo sconfitto da Bugetti. A metà giornata era saltato fuori anche il nome dell’assessora di Prato Benedetta Squittieri, poi superato.
Insomma una giornata convulsa e ben poco promettente, roba da leccarsi i baffi per l’opposizione. Il neo-consigliere di Fratelli d’Italia Francesco Torselli la tocca piano: “È gravissimo che il governatore si sia presentato senza una squadra di Governo dopo quattro settimane dalla sua elezione. Questa legislatura nasce all’insegna dell’improvvisazione, mentre i toscani hanno bisogno di risposte concrete per superare l’emergenza sanitaria e la crisi economica. L’esordio di Giani è un circo”.
E in effetti il primo passo del nuovo corso della Regione Toscana non è certo stato tra i più felici, per una serie di ragioni: perché dopo quattro settimane la Toscana non ha una Giunta (e soprattutto, in epoca Covid, non ha un assessore alla Sanità), perché il cencelliano Giani non è riuscito a mettere tutti d’accordo, perché la crisi è stata gestita pubblicamente e davanti alla stampa, perché in definitiva si è ceduto il fianco a Renzi che, seppur con cifre minime, continua a tenere banco, e perché si è già annunciato di voler portare gli assessori a nove unità, facendo trapelare l’idea che sarà un governo della Giunta, più che del Presidente.
Ma soprattutto perché niente è cambiato. Perché ancora oggi a vincere sono i veti, i ricatti e le spallate interne, in un centrosinistra ripiegato su un correntismo tafazziano che cela logiche non troppo velate della vecchia spartizione partitocratica, in cui le mille maniche del leader di turno vengono tirate da ogni punto cardinale, finendo inevitabilmente per trascinare tutti più in basso. Una consuetudine ormai talmente fisiologica, che neanche una destra forte di cinque province e del 40% del consenso dei toscani è riuscita a scalfire. Almeno fino ad oggi.
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