L’esclusione di Lorenzini e i malumori nel PD pratese

Sono i giorni caldi che precedono la data in cui, tutti i partiti impegnati nelle elezioni regionali, dovranno presentare le liste dei loro candidati. A Prato, ricordiamolo, ci sarà posto per tre uomini e per tre donne e, molti partiti, stanno facendo fatica a trovare la quadratura del cerchio. L'(auto?)esclusione dell’ex sindaco di Montemurlo è stato un episodio molto dibattuto in provincia in questi ultimi giorni e, tutti i commentatori, sono concordi su un fatto: lui non sarà candidato altrimenti Ciolini non rientrerebbe in consiglio regionale.

Quella dell’ottimo Mauro Lorenzini, ex sindacalista che per il suo operato nei dieci anni da sindaco si è fatto apprezzare in tutta la provincia e non solo, sarebbe stata una candidatura fortissima per il PD pratese che, in realtà, avrebbe potuto schierare, in attesa di capire come si completerà la parte femminile, un tris di uomini di tutto rispetto: CIolini, Martini e Lorenzini. Invece le parole di quest’ultimo, con cui ha motivato pubblicamente la sua rinuncia a candidarsi, lasciano soprattutto intendere ai lettori più attenti le numerosi pressioni ricevute dai vertici di via Carraia per portarlo alla rinuncia.  Perché Lorenzini ha parlato di spaccature nel partito nel caso di una sua candidatura? Chi si sarebbe spaccato?

I ben informati raccontano comunque di un accordo raggiunto in extremis, con Lorenzini che avrebbe accettato la proposta di Biffoni per la presidenza di GIDA in cambio del suo passo indietro, ma preferisco rimanere sui fatti e non sul gossip di corridoio (anche se il chiacchiericcio anticipa quasi sempre quelle che poi diventano notizie sui giornali qualche giorno dopo).

Al di là di tutto, i numerosi malumori di queste settimane  (arrivano notizie strane anche da Carmignano che sto cercando di confermare), sono solo la conseguenza di un cortocircuito politico che nel PD pratese si registra da un po’ di tempo.

Ormai poco più di un anno fa, il congresso sancì la netta vittoria di Zingaretti con il 58,91% di consensi tra gli iscritti che esercitarono il loro diritto di voto. L’affermazione di quello che poi è diventato il segretario nazionale, tra l’altro, avvenne nettamente in tutti e sette i comuni della provincia di Prato. Eppure, tutto questo, non è stato tradotto nella governance del partito. In giunta solo un assessore su nove è in rappresentanza di Zingaretti nonostante il consiglio comunale sia composto da una folta componente di zingarettiani. E il corto circuito sta proprio qui, in un congresso che poi non ha determinato, nonostante il risultato, un cambiamento nella dirigenza del partito. Che, stranezze della politica, a Prato è ancora totalmente nelle mani dei renziani.

Avete letto bene. Tutti coloro che hanno sposato l’epoca riformista di Matteo Renzi dalle prime leopolpe in poi (e che a Renzi devono politicamente quasi tutto), in realtà non hanno seguito l’ex enfant prodige della politica italiana nella sua nuova avventura al di fuori del Partito Democratico e hanno preferito tenersi stretto il partito pratese. Che continua ad essere gestito come se nulla fosse accaduto.

I più renziani di Renzi, da Matteo Biffoni passando per Nicola Ciolini, se ne stanno ancora lì a muovere i fili, a decidere le candidature, a fare le nomine in totale autonomia come se fossero leader indiscussi di un Califfato e non riferimenti politici di un partito in cui i pesi e gli equilibri dovrebbero essere determinati da elezioni interne.

E i malumori, che partono da Prato, sono arrivati fino a Roma al Nazareno.

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