Prato: è partita la caccia al posto fisso

“Non bestemmiare. Il posto fisso è sacro”. Così sosteneva Lino Banfi nel famoso film “Quo vado?” di Checco Zalone. In questo periodo storico in cui l’Italia attraversa una grave crisi economica, tornano a mente le migliori ed esilaranti scene di quel film quando, tra le pagine dei quotidiani, si legge che l’uno o l’altro ente pubblico si appresta ad indire concorsi per l’assunzione di nuovi dipendenti. Sì, perché le aziende private – strette in una morsa fatta di anticipi della cassa integrazione, difficoltà a sostenere i costi fissi in presenza di un giro di affari fortemente ridotto e ritardi nell’incasso dei propri crediti verso i clienti – faticano enormemente a mantenere il livello occupazionale garantito nello scenario pre Coronavirus. Stupisce quindi la capacità degli enti pubblici di accollarsi nuovi costi fissi con l’assunzione di nuove risorse umane e, conseguentemente, viene quasi naturale immaginarsi Lino Banfi a motivare i candidati con il suo monito sulla sacralità del “posto fisso”.

Tra gli enti pubblici che a breve procederanno ad ampliare il proprio personale in servizio figura anche il Comune di Prato che, da quanto si legge, nei prossimi mesi assumerà ben sessantacinque nuovi dipendenti.

LE DOMANDE DEL CITTADINO COMUNE. Il Comune di Prato è effettivamente sottodimensionato in termini di organico, magari a seguito di pensionamenti nel frattempo intervenuti, ed ha effettivamente necessità di assumere nuove persone? Oppure, considerando la situazione di asfissia in cui versa il settore privato, l’assunzione di nuovi dipendenti pubblici poteva essere rimandata a tempi migliori, cercando magari – ove tecnicamente possibile – di canalizzare i soldi risparmiati verso una riduzione di quei tributi locali che contribuiscono a disincentivare ogni nuova iniziativa imprenditoriale? Se, come sembra inevitabile, il rilancio deve partire dal settore privato, non sarebbe stato più opportuno adottare misure a supporto delle aziende e dei negozi, ad esempio con importanti contributi in conto affitti per le attività del centro storico e delle periferie? Si potevano ipotizzare altre destinazioni per queste risorse finanziarie, con cui andare incontro ad alcune esigenze fortemente avvertite dai cittadini pratesi in questo periodo di crisi?

LE INDICAZIONI FORNITE DAI NUMERI. Sono domande che il cittadino comune si pone dinanzi alla notizia sulla prossima assunzione di sessantacinque nuovi dipendenti comunali, ma alle quali è difficile dare una risposta precisa. È possibile però andare un po’ oltre il mero annuncio sui concorsi avviati e farsi un’idea sul contesto in cui la notizia si inserisce. Abbiamo infatti a disposizione dei dati numerici e, basandosi su quelli, possiamo provare a fare qualche riflessione.

Dal sito web del Comune di Prato si apprende che al 31 dicembre 2018 lo stesso ente contava su 926 unità di personale di ruolo in servizio (tra dirigenti e dipendenti), dato che, peraltro, si presume non comprenda tutti quei dipendenti riconducibili alle varie società partecipate dal Comune stesso. Su una città che, al 31 marzo 2020, registrava 195.335 residenti, ciò equivale a dire che, all’incirca, a Prato figura un dipendente comunale ogni 211 residenti.

Sempre al 31 dicembre 2018, il costo totale lordo annuo del lavoro ammontava a 38.682.696 euro. Ciò significa che, mediamente e considerando tutte la popolazione pratese (bambini inclusi), il personale del Comune di Prato – che svolge le attività necessarie per far funzionare la città – costa circa 198 euro all’anno per ciascun residente. Alla stessa data, mediamente, chi lavora nel Comune di Prato costa 41.774 euro  annuali (dato ottenuto rapportando i 38.682.696 Euro per le 926 risorse). Ipotizzando di replicare tale costo medio anche per le sessantacinque nuove persone che a breve verranno assunte, potremmo supporre di andare incontro a costi aggiuntivi per circa altri 2,7 milioni di euro all’anno.

IL FIORE ALL’OCCHIELLO DI PRATO. Dalle stesse notizie si apprende che una buona parte dei 65 nuovi assunti verranno destinati a mansioni amministrative, oltre ad alcune assunzioni che riguardano, tra gli altri, il settore tecnico ed informatico. Il Comune di Prato, evidentemente, ravvisa la necessità di irrobustire e consolidare quello che è un po’ il proprio fiore all’occhiello, ossia quell’organico amministrativo che recentemente gli ha consentito di figurare, insieme a Milano, in cima alla classifica “rating pubblico” di Fondazione Etica per le Pubbliche Amministrazioni.

COSA SERVE ALLA CITTÀ. Nessun dubbio sull’importanza di avere una macchina comunale ben gestita ed un bilancio comunale sano. Tali presupposti rappresentano la base su cui poggiare ogni efficace politica di sviluppo del territorio. Ma, oltre al giudizio di enti e società esterne deputati a stilare classifiche di tipo statistico ed amministrativo, è opportuno mettere sulla bilancia anche l’opinione dei cittadini circa l’opportunità di investire ancora su capitoli di spesa di tipo back end (ossia connessi alla gestione della macchina comunale) rispetto a capitoli di spesa di tipo front end. Questi ultimi – che si ricollegano maggiormente allo stato di manutenzione di strade, marciapiedi, aiuole, giardini, alla disponibilità di impianti sportivi adeguati, alla riqualificazione delle scuole comunali, ecc. – sono infatti di più immediato e quotidiano riscontro per i cittadini comuni.

Sappiamo bene che i capitoli di spesa di un ente pubblico sono a maglie strette e ben incanalati da rigide procedure deliberative, contabili ed amministrative che non consentono agevoli cambi di manovra con cui spostare risorse da un ambito all’altro. Ma, soprattutto in questo momento storico, da semplici residenti in città resta il dubbio sull’opportunità di destinare alla macchina comunale ulteriori risorse finanziarie – ipotizzate, secondo i calcoli approssimativi precedentemente illustrati, in circa 2,7 milioni di Euro all’anno – sottraendole magari alle politiche di sviluppo del territorio o ai numerosi e piccoli interventi di cura e manutenzione dei beni pubblici o, ancora, ad una incisiva politica di taglio dei tributi comunali per quei soggetti privati (imprese ed esercizi al dettaglio) che tanto faticano a portare avanti le proprie attività. Contabilmente questa sottrazione di risorse finanziarie non risulta o non è verificabile. Ma nella percezione del semplice cittadino la sensazione, probabilmente, è questa.

LA TRISTE VERITÀ. Quello che, tristemente, appare piuttosto evidente è che, nelle ristrettezze dettate dalla crisi economica attuale, gli unici soggetti in grado di assumere nuovo personale in maniera così massiccia sono gli enti pubblici. E lo fanno ricorrendo – complessivamente ed in maniera più o meno diretta – a risorse pubbliche che, però, non sono illimitate. Il debito pubblico italiano continua a crescere a dismisura, con previsioni che arrivano addirittura al 159% del PIL entro la fine del 2020, avvicinandosi sempre più a quelle soglie critiche che potrebbero mettere a rischio la capacità dello Stato di continuare a finanziarsi sui mercati. La partita europea sui fondi (Recovery Fund, MES, Sure ecc.) con cui superare la crisi è, quindi, ormai decisiva per il futuro dell’Italia, di tutti gli enti pubblici e, a cascata, di tutti i soggetti privati. Ormai quella è l’unica partita che l’Italia può giocare. È la sua finale.

Nel mentre, sono tanti coloro che si mettono in lista per accedere all’impiego pubblico e a quel famigerato “posto fisso” di zaloniana memoria. In un periodo contraddistinto da così tante incertezze, la possibilità di diventare dipendente comunale suona un po’ come se ci trovassimo di fronte al sequel di un vecchio film diretto da Robert Dhéry “Si salvi chi può”.

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