L’altro giorno sono entrato in camera e ho trovato la mia ragazza crucciata davanti all’armadio aperto. Le ho chiesto il perché di quel muso lungo, e lei mi ha risposto mostrandomi una giacca di pelle nuova, cartellino ancora attaccato. “Embè?” le ho chiesto. “Mai messa, l’ho comprata due giorni prima del lock down”. È così, più o meno, che ho realizzato che abbiamo perso una stagione.
Non capita mai, in fondo, di perdere una stagione, di saltarla a piè pari, ma quest’anno è andata così. E a certificarlo non sono soltanto giubbotti jeans o giacche di pelle mai uscite dall’armadio ma anche questioni più profonde e cruciali della nostra vita. Ci siamo chiusi in casa che era febbraio, faceva freddo, l’eco del Natale ancora nelle orecchie, davanti a noi un periodo lunghissimo e noiosissimo, prima delle ferie estive. E siamo usciti di nuovo che è estate, fa caldo, le ferie sono un miraggio (o per qualcuno sono obbligate) e le spiagge vengono controllate a vista dalla Municipale. Nelle vetrine, riaperte da pochi giorni, ci sono ancora i capi primaverili, che i negozianti tentano di piazzare all’ultimo scampolo di venticello, prima che arrivi l’afa. E quindi, anche per loro, commercianti e produttori, per tutta la filiera dell’abbigliamento, la stagione persa è anche (e soprattutto) quella economica: tre mesi di incassi cancellati e magazzini strapieni di roba che non serve. Un contraccolpo che vive anche l’industria, così come il turismo, così come la manifattura, così come le compagnie aeree. Una stagione volata via, appunto.
Ma abbiamo perso anche una stagione sportiva, al netto di un calcio che tenta, arrancando, di concludere in maniera sbilenca il girone di ritorno. “E chi se ne frega” direte voi, e in parte avete ragione, ma per chi considera lo sport cultura, condivisione e salute, beh, rischiamo che l’accidia e la gola prendano il sopravvento, o che la spaghettata con gli amici davanti a Fiorentina-Juventus perda inesorabilmente di significato, decretando la sconfitta per entrambe, e per i tifosi. Zero a zero fisso, per sempre.
Non l’abbiamo persa noi, invece, una stagione di formazione, di studio, di scuola, ma l’hanno persa i nostri figli. Quasi un anno intero, cancellato. Come se un libro di storia saltasse dal 1943 al 1946, e nel mezzo bianco, pagine vuote. Un buco, in un certo senso, un vuoto culturale. Cresceremo dunque una generazione che sa come è cominciata la Seconda Guerra Mondiale, ma non sa chi l’ha vinta? O che pensa che tra i Sumeri e la Reconquista spagnola ci corra solo il tempo di una veleggiata nel Mediterraneo?
Abbiamo perso una stagione politica, anche, lasciando il timone ad un governo di difficile sintesi, mal assortito, capace soltanto di accodarsi all’ombra di un premier che probabilmente cesserà la sua carriera politica insieme all’emergenza coronavirus, lasciando i partiti a contendersi le briciole elettorali di un paese da ricostruire, spogliato di contenuti, e rappresentato da una classe dirigente perlopiù inadeguata al compito difficilissimo che la attende.
E abbiamo perso una stagione di sentimenti, di socialità, di relazioni, con il risultato di essere oggi più schivi, impauriti e diffidenti, convinti più che mai che la casa sia un rifugio sicuro, quando spesso per tanti (e tantissime) di noi è proprio il contrario.
Insomma, l’impressione alla fine, è che abbiamo perso più di una semplice primavera. Che il tempo effimero di una stagione di Netflix, non fa il paio con quella che abbiamo appena consumato senza viverla. Che il passare dei giorni uno uguale all’altro, ci abbia alla fine distolto dal vero sacrificio cui il Covid ci ha obbligato, e che quella giacca di pelle comprata due giorni prima del lockdown, forse l’anno prossimo ci starà troppo stretta, o sembrerà irrimediabilmente vecchia. Abbiamo perso una stagione, e nessuno ce la renderà indietro.
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