Una piccola riforma per una città più curata

Non ci prestiamo neanche più attenzione. Ci siamo assolutamente abituati. Per noi italiani è la normalità. Alcune città leggermente meglio, altre leggermene peggio. Ma, in generale, l’incuria delle nostre città è lo standard a cui siamo avvezzi e la rassegnazione di fronte all’impossibilità di vedere un livello di decoro accettabile ha avvinghiato tutti quanti.

Talvolta abbiamo un leggero moto di ribellione, magari quando torniamo da un viaggio all’estero. Per qualche giorno ci domandiamo come mai in Italia, nel 2020, non riusciamo a prenderci cura dei nostri spazi pubblici, così come avviene normalmente negli altri Paesi. Col termine di paragone di una città estera fresco nella memoria, misuriamo a colpo d’occhio le condizioni delle nostre strade, delle nostre piste ciclabili, dei nostri parchi pubblici, dei nostri giardini o dei nostri marciapiedi. Ed il responso è quasi sempre lo stesso: sembra di vivere in un Paese in cui quello che è di tutti, in realtà non è di nessuno.

Per qualche giorno ci domandiamo come ciò sia possibile e fatichiamo ad accettare lo stato delle cose. Solo qualche giorno di indignazione però. Poi il ricordo della vacanza si attenua e, con esso, si affievolisce anche la memoria della cura spesso riscontrata fuori dallo stivale. E così, nuovamente, ricadiamo nella nostra tradizionale rassegnazione.

PRATO COME TANTE ALTRE CITTÀ. Io vivo a Prato e, intendiamoci, non penso neanche che la mia città sia tra le peggiori in Italia quanto a cura del bene pubblico. Ci sono diverse città migliori della mia. Ma credo che siano molte di più quelle peggiori. Non c’è quindi una particolare vena polemica verso l’attuale amministrazione della mia città, anche perché, da questo punto di vista, durante l’amministrazione di colore politico opposto che ha governato dal 2009 al 2014 la situazione era, a mio avviso, sostanzialmente analoga. Ma a Prato vivo e, quindi, di Prato posso parlare con maggiore cognizione di causa.

COSA VEDONO I NOSTRI OCCHI. Lasciamo stare le buche sulle strade. Quelle sono l’unico evidente segno di incuria sul quale non occorre scrivere un articolo per svegliare i cittadini. Ci pensano le buche stesse a ricordare la loro esistenza ad ognuno di noi quando, viaggiando con i nostri mezzi di trasporto, ci arriva il colpo alla schiena ogni volta che ci imbattiamo in uno dei tanti piccoli crateri che contraddistinguono le nostre strade.

Se giri la città, se hai una certa predisposizione alla cura estetica, se vorresti vivere in un ambiente curato, se hai l’occhio vigile, a Prato ti imbatti in una miriade di piccole cose che non vanno e che, con costi veramente irrisori, potrebbero essere sistemate, dando così l’impressione di una città curata.

E allora lungo la tangenziale noti enormi scheletri di acciaio che sovrastano l’asse stradale che, una volta, accoglievano cartelli con indicazioni stradali. Quei cartelli non ci sono più da anni, ma gli enormi supporti di acciaio sono sempre lì, chissà, forse in attesa che vengano classificati come beni archeologici.

Poi arrivi alla rotonda e trovi diversi blocchi di cemento ormai liberi e staccati dai cordoli della rotonda stessa, perché magari il cemento è così vecchio che si stacca con un alito di vento. E a Prato, si sa, di vento ce n’è parecchio. E, ancora, cartelli stradali abbattuti a seguito di un incidente, che restano a terra per mesi e che non vengono rimpiazzati. Segnaletica orizzontale per lunghi tratti inesistente o sbiadita, risalente a qualche decennio fa.

Quindi percorri la strada verso casa e la trovi invasa da erbacce alte mezzo metro che spuntano ai lati della sede stradale, sul marciapiedi o sul muro laterale, a ricordarti che l’asfalto è arrivato dopo e che la natura rivuole i suoi spazi. All’imbocco della tua frazione, sul ponte trovi una sorta di guardrail protettivo per evitare cadute nel ruscello sottostante. Ma è completamente arrugginito. Pensi che potrebbe trattarsi di quella nuova moda di trattare l’acciaio con il corten, rendendolo simile alla ruggine. Ti avvicini e realizzi che, invece, non è così: quel guardrail è veramente marcio di ruggine e, in quelle condizioni, non sarebbe in grado di reggere neanche una mosca, figuriamoci un’automobile dopo una sbandata.

Una volta a casa decidi di prendere la bicicletta. Ti immetti nella pista ciclabile all’imbrunire e purtroppo la trovi con decine di lampioni non funzionanti. Per fortuna che ti eri portato dietro una pila bella potente.

Chissà quanti altri esempi si potrebbero fare. Sono tantissime queste piccole necessità di intervento di cui nessuno si prende cura.

L’INCREDULITÀ. La rassegnazione che accomuna molti cittadini si abbina in certi casi ad un’altra emozione: l’incredulità. Ciò riguarda però una cerchia più ristretta di cittadini: quelli con un maggior senso civico che, non accettando lo stato delle cose, provvedono a segnalare al Comune i singoli piccoli problemi. La cosa incredibile, infatti, è che spesso quei piccoli interventi di sistemazione, se richiesti, vengono effettuati. Il cittadino, quindi, si chiede perché debba spettare a lui fare la segnalazione. È positivo che ci sia questa possibilità, ma non dovrebbe essere la normalità. Viene quasi da chiedersi quale sia il tragitto che gli amministratori locali o i responsabili di certi uffici comunali – ossia coloro che in primis sono deputati a curarsi della cosa pubblica – fanno per recarsi a lavoro o per portare i figli a scuola o per andare a fare la spesa. Possibile che non si accorgano di niente? O, molto più probabilmente, se ne accorgono ma non si attivano perché la materia non rientra nell’ambito delle proprie specifiche competenze? Oppure queste persone hanno il beneficio del teletrasporto per non accorgersi di niente durante i loro spostamenti?

LA CONTA DEI DIPENDENTI. Eppure, il Comune di Prato, probabilmente come molti altri Comuni, non sembrerebbe sottodimensionato quanto a personale a disposizione. I dati disponibili al 31 dicembre 2018 evidenziano la presenza di 910 dipendenti comunali, oltre a 15 dirigenti e a 1 segretario comunale e provinciale. A questi si aggiungono i dipendenti delle varie società partecipate cui sono affidati i singoli servizi.

È possibile che dei 910 dipendenti – tolti quelli con competenze specialistiche (contabilità, servizi sociali, ufficio legale, ecc.) – non sia possibile individuarne 5 o 10 da ricollocare in attività di perlustrazione della città, al fine di individuare le piccole necessità di intervento (magari anche grazie al confronto con i cittadini nei vari quartieri), di prenderne nota e di fare le opportune segnalazioni alle strutture competenti? Sarebbe una piccola riforma che, col minimo sforzo e con costi probabilmente irrilevanti, porterebbe un grande giovamento a tutti i cittadini.

COSA SERVE VERAMENTE? Non sono grandi le opere che servono. Anche perché, purtroppo, si è compreso che la fattibilità delle grandi opere si scontra con la solita burocrazia italiana. A questo proposito, per restare al caso di Prato, è sufficiente conoscere la storia di due grandi progetti che stanno accumulando enormi ritardi: quello del sottopasso della declassata all’altezza del Soccorso e quello del parco centrale al posto dell’ex Ospedale Misericordia e Dolce.

Le opere che servono sono, anzitutto, piccole e diffuse. Sono piccole manutenzioni che non richiedono grossi investimenti e per le quali, magari, l’effettuazione è già stanziata in qualche capitolo di spesa. Il problema è che, probabilmente, i piccoli interventi non sono sufficientemente interessanti per la politica, in quanto non si prestano al rito del taglio dei nastri e alla ribalta dei media e dei social. Che sia questo il motivo per cui nessuno si adopera per cose così elementari?

Occorre dimostrare, per prima cosa, di saper dedicare le giuste attenzioni a quello che si ha, facendo doverosa e puntuale manutenzione. Quando questo atteggiamento sarà diventato consolidato, allora si potrà passare alla Fase 2: le grandi opere.

Cura, pulizia, manutenzione e decoro. Finché non ci sarà niente di tutto questo, quando sentiremo parlare di Prato come di una città europea saremo sempre indecisi se trovarci di fronte ad un’utopia o ad un tentativo di prendersi gioco dei cittadini. Di sicuro non penseremo di trovarci di fronte ad un sogno realizzabile.

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