“Quello italiano è un popolo sconfortante. Non ci sono speranze”. Quante volte sentiamo dire frasi simili da parte dei nostri connazionali quando, chiacchierando, analizziamo la situazione del nostro Paese? E quante volte, presi dalla frustrazione per le cose che non funzionano, ognuno di noi si trova ad esprimere sconcerto e rassegnazione per l’Italia, estraniandosi ed avocandosi a giudice esterno, quasi come se non fossimo parte di quella stessa comunità?
I DUE ESERCITI. I giorni della quarantena hanno simbolicamente contrapposto due eserciti. Da una parte quello che affigge le bandiere tricolore alle finestre, che canta l’inno di Mameli sui terrazzi e si vanta per il comportamento del Paese nel fronteggiare l’epidemia, rivendicando addirittura di rappresentare un esempio per tutti gli altri popoli. Dall’altra, quello di chi non perde l’occasione per denigrare il Paese – riferendosi spesso sia ai rappresentanti di Governo, sia ai comuni cittadini italiani – rimarcando i difetti atavici e incorreggibili del popolo italiano, con la sua incapacità di rispettare le regole, di accettare le decisioni adottate dal Governo e dalle singole Regioni, di dimostrare quel senso civico ancor più necessario in questa situazione di emergenza.
Questa seconda fazione dimostra spesso frustrazione per il fatto di vivere nel Belpaese e rafforza ulteriormente la propria convinzione rimarcando le differenze rispetto agli altri Paesi europei, quelli in cui le cose “funzionano veramente”.
Questi giorni sembrano accentuare questa bipartizione. Sembra quasi che le due schiere siano prive di intersezioni. O sei dell’uno, o sei dell’altro. Non è ammessa ambiguità di comportamento e di pensiero.
Ma ha veramente senso questa netta distinzione? Si può essere critici verso i cattivi costumi degli abitanti dello stivale, senza per questo dover mettere sull’altro piatto della bilancia il quadro idilliaco, o forse meglio ideale, di quelle nazioni – principalmente nord europee – in cui si crede che la democrazia funzioni perfettamente, che il senso civico sia la normalità e che trasgredire le leggi sia innaturale? E soprattutto, quanti, di coloro che detestano le abitudini degli italiani e sognano di vivere in quei Paesi reputati delle eccellenze, vantano sufficienti esperienze di vita all’estero per avallare la propria posizione? Oppure questa idea si è formata per autoconvincimento, per sentito dire e basandosi principalmente su quello che si legge?
SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA. Innanzitutto, il provare rabbia o disagio per certe abitudini o comportamenti degli italiani e per il loro scarso senso civico – sentimenti che indubbiamente sono fondati su una buona dose di verità – non dovrebbe darci titolo per emettere giudizi indipendenti, come se noi non facessimo parte di tale comunità. L’italiano medio, quello che spesso ha comportamenti deprecabili, siamo anche noi, singolarmente presi. Ognuno di noi ha, in maniera più o meno pronunciata, i difetti che tanto ci fanno indignare: la furbizia, la propensione a mettere in discussione le regole, lo spiccato individualismo, la ritrosia a pagare regolarmente le tasse, il disinteresse (se non addirittura lo spregio) per la cosa pubblica e così via. Insomma, mai come in questo caso è opportuno ricordare che “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”.
FUORI È DAVVERO TUTTO PERFETTO? In secondo luogo, forse dovremmo anche smettere di credere aprioristicamente che fuori dall’Italia ci siano luoghi ideali, dove tutto è perfetto. A questa credenza, infatti, spesso poi si associano comportamenti autolesionistici – sia a livello istituzionale che a livello individuale – quando ci relazioniamo con controparti di altri Paesi, che culminano in episodi di pubblicità negativa o nell’esternalizzazione di proclami fallimentari per screditare la nostra realtà. Siamo (quasi) tutti molto esterofili, sovente senza sufficienti basi, e di riflesso in molte situazioni non facciamo il gioco del nostro Paese.
Senza dubbio altri Paesi sono più abili nel nascondere i propri punti deboli ed i propri problemi interni, adoperandosi per risolverli senza mettere in piazza il problema o minimizzando il più possibile il clamore mediatico. Pensiamo, tanto per fare alcuni esempi, alla rivolta dei gilets jaunes in Francia. O agli scandali che in Germania si sono succeduti per il dieselgate o per i salvataggi di banche fallite. Di questi eventi si è letto, sì, ma si ha la sensazione che le casse di risonanza siano state messe presto a tacere. Altrimenti possiamo pensare al sistema fiscale che in Olanda, in Irlanda e in Lussemburgo favorisce le multinazionali, consentendo loro di pagare tasse clamorosamente sottodimensionate rispetto alla ricchezza che accumulano. O, ancora, al segreto bancario che a lungo ha permesso alla Svizzera di attrarre capitali di ogni tipologia, anche quelli di più dubbia provenienza.
Riflettendoci bene, potremmo forse anche arrivare alla conclusione che queste democrazie, che sembrano funzionare meglio, basino in realtà la loro superiorità su una maggiore capacità comunicativa e sul fatto di non avere nemici interni (o quantomeno di saperli gestire). In Italia, si sa, fin dall’epoca dei Comuni di medievale memoria siamo un po’ “tutti contro tutti”. E in questo tipico atteggiamento potrebbe rientrare anche la propensione ad attaccare l’avversario di turno, mettendo il più possibile in risalto il problema o la malefatta, rischiando però così di screditare non solo il diretto interessato ma tutto il sistema Paese.
I PATRIOTTICI DEL WEB. Quanto alla fazione dei “patriottici da balcone”, questi giorni ci hanno regalato innumerevoli e stucchevoli episodi. Abbiamo assistito sui social ad un continuo susseguirsi di video in cui, con toni trionfalistici, si è fatto un ridondante esibizionismo della nostra unicità. Per carità, si tratta di cartoline vere di un paese che non ha uguali al mondo in tanti campi: paesaggi, arte, moda, cucina, creatività, imprenditorialità eccetera. Ma non è incensandoci nei momenti di crisi che si acquisisce il senso di appartenenza alla nazione e si dimostra di amare questo Paese. Per raggiungere questo obiettivo, occorre ben altro.
LA TERRA DI MEZZO. E qui poniamo ai due eserciti le ultime di una serie di domande: da un lato, si può amare questo Paese ed essere orgogliosi delle sue origini e delle sue peculiarità senza cadere nel sovranismo o in uno stucchevole e caricaturale patriottismo di facciata? Dall’altro lato, si possono condannare gli odiosi italici difetti senza per questo sfociare in sterili lamentele ed in facile esterofilia, cercando piuttosto di fare qualcosa per migliorare? Si può, in sostanza, superare questa apparente antitesi?
Gli estremi ci saranno sempre, ma se quella “terra di mezzo” esiste, ci sarebbe da augurarsi che fosse sempre più popolata. Lì si potrebbe trovare la vera anima del Paese, quella su cui puntare per una definiva crescita del senso di cittadinanza e per un atteggiamento più maturo e civile nell’ambito del confronto democratico, anche al cospetto degli altri Paesi.
Ale bravo come sempre. Mi è piaciuto quel tutti contro tutti che certamente non ci aiuta, specialmente in un momento come questo. Purtroppo però questo aspetto è incentivato da come si informa la maggior parte della popolazione.
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Concordo Antonella. È proprio come dici tu… Grazie. Ciao!
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