“Oggi mi faccio una bella birra e mi sparo su YouTube il fantastico derby del 2009”. Sembra di sentirlo il tifoso di calcio al tempo del coronavirus. Ce lo immaginiamo un po’ così, ormai in preda all’astinenza e sofferente per la situazione anomala in cui versa la propria malattia per il calcio. In assenza di partite del campionato ormai da due mesi, quei tifosi affetti da una dipendenza avanzata possono, infatti, al massimo ricorrere ai loro ricordi per arginare la propria crisi. Oppure, come ultimo surrogato, possono eventualmente pensare ad organizzare una partita a FIFA o a PES alla Playstation.
Ma al tifoso medio italiano quello che manca, e che niente può sostituire, è rappresentato dal litigio per gli errori arbitrali, dall’arrabbiatura con l’allenatore per la sostituzione sbagliata, dalla bolgia di voci e cori e dall’insulto, comunemente sdoganato, allo storico avversario. Insomma, manca la parte più animalesca del calcio. Perché, volendo, per molti il gesto tecnico è anche secondario rispetto al contorno sociale del calcio. Si paga il biglietto per lo stadio per qualcosa di più, per un brivido che non si trova da nessun’altra parte.
Quello che accomuna i tifosi sportivi e quelli più faziosi è che da due mesi ormai non c’è niente di attuale di cui discorrere il lunedì tra colleghi o amici. Nessun gol. Nessuna azione. Nessun furto causato dall’arbitro connivente con la squadra a strisce. Nessun episodio passato al microscopio della VAR o della moviola televisiva. Addirittura, nessuna pagella da condividere per il risultato al Fantacalcio. In questo bimestre, anche i tifosi più assidui hanno dovuto ripiegare su altre valvole di sfogo: magari un bicchiere di vino in più a casa o il consumo raddoppiato delle sigarette o, ancora, il riscoprire altre passioni ormai sopite sotto la coltre degli impegni quotidiani.
BAGNO D’UMILTÀ. Ormai è di tutta evidenza che lo stravolgimento indotto dal coronavirus non ha risparmiato niente. Sono state colpite anche quelle sfere più ricche e dorate del nostro vivere quotidiano. Quelle che sembravano rappresentare un mondo ideale, dove gli stipendi crescono sempre e i problemi si delegano a una schiera di manager e di assistenti. Il “fu” dorato mondo del pallone, insomma.
Il volume d’affari generato dal calcio professionistico in Italia, prima del coronavirus, era spaventoso. Si parlava di circa 3,4 miliardi di euro all’anno prima dell’esplosione della crisi attuale, tanto che molti lo classificavano come la terza industria nostrana. Non che adesso non sia più un mondo con numeri sovradimensionati rispetto agli altri sport. Ma, improvvisamente, il Covid-19 ha cambiato molte cose. Ha bloccato il calcio come tutto il Paese, stravolgendo la vita incantata degli operatori del pallone e riconducendola, almeno in parte, nell’alveo dei comuni mortali con tutte le incertezze che ne derivano. Non si sa se e quando le competizioni riprenderanno. Non si sa, in definitiva, come il mondo del pallone uscirà da questo uragano.
Diciamocelo chiaramente. Il calcio – e qui ci riferiamo solo all’elite dei milionari giocatori della serie A, perché diverso sarebbe il discorso per gli appassionati delle categorie inferiori e dilettantistiche – è il minore dei problemi adesso e le persone mediamente ragionevoli non ne sentono la mancanza, presi da tutt’altre preoccupazioni. Peraltro, un bagno di umiltà per questa realtà – fatta in buona parte ormai di tatuaggi, fascette, abbronzature perfette e storie su Instagram – era pure necessaria, vista la crescita esagerata registrata negli ultimi anni da ingaggi, prezzi dei giocatori, prezzi dei biglietti per accedere allo stadio ecc ecc
CORONAVIRUS ED EFFETTI ECONOMICI. Con il gioco fermo e con la crisi in pieno corso, quando si parla di calcio in questi giorni l’unico argomento è quindi di carattere economico: quanti danni avrà subito questo settore? Quante e quali società calcistiche riusciranno ad assorbire l’urto subito? Quanti introiti potrà ancora registrare questa industria? Insomma, giocoforza considerando da una parte l’attuale inattività e, dall’altra, la crisi economica prevista, gli aspetti “industriali” del calcio prevalgono su quelli “sportivi”.
Andiamo allora ad esaminare alcuni riflessi economici legati in qualche modo al Covid-19 che riguardano cinque squadre dall’importante seguito a livello nazionale: Juventus, Roma, Fiorentina, Inter e Milan. Sono aspetti inerenti l’industria calcio che fanno riflettere su come, anche qui, la fortuna ed il timing di certe decisioni giochino un ruolo fondamentale per dare un futuro florido alle società.
JUVENTUS. Sappiamo dell’investimento monstre fatto dai bianconeri per l’acquisto di Ronaldo e per il relativo ingaggio. Fino a poco fa, gli effetti di questa scelta sono stati tutto sommato positivi. Sicuramente lo sono stati in termini sportivi. Quanto agli effetti economico-finanziari si rendeva necessario un arco di tempo maggiore per poter usufruire appieno del ritorno di tale investimento. La Juve, infatti, aveva avviato un percorso di crescita importante del fatturato e della visibilità internazionale del proprio brand, forte del posizionamento di Ronaldo sui principali social. Ma adesso, in questo scenario, la Juve riuscirà ugualmente a creare il valore che aveva preventivato con tale massiccio investimento? Adesso, quanto cambierà la capacità della Juve di ammortizzare l’investimento fatto?
Da notare che la struttura finanziaria del club risultava forse già un po’ sbilanciata, con un’esposizione debitoria non indifferente; tanto è vero che alla fine del 2019 è stato perfezionato un aumento di capitale per quasi 300 milioni di euro.
Sul capitolo Ronaldo, insomma, il timing dell’investimento non ha giocato a favore della società. Basta pensare che, secondo recenti ricerche di mercato, il coronavirus ha implicato un crollo medio del valore dei giocatori di circa il 30%. La società ha iscritto in bilancio l’investimento “CR7” con valori precedenti a quelli di questa emergenza e, da ora in avanti, potrà contare su un giro d’affari inferiore, al pari di tutto il settore. Gli stipendi dei giocatori sono stati rivisti al ribasso, ma basterà per mantenere l’equilibrio economico-finanziario se gli effetti della pandemia si protrarranno?
Quel che è certo, però, è che la società bianconera vanta un socio di grande potenza economica. Il principale socio di Juventus, Exor, tra l’altro ha beneficiato di una plusvalenza importante a inizio marzo di questo anno, incassando ben 8 miliardi di Euro dalla cessione della società di riassicurazione PartnerRe, ricavandone in soli quattro anni una plusvalenza di circa 3 miliardi di Euro. E qui il timing della famiglia Agnelli-Elkann è stato vincente. Se le cose si normalizzeranno, insomma, l’azionariato della Juventus detiene tutta la potenza economica necessaria per far fronte alle eventuali necessità del club.
ROMA. Fino allo scoppio dell’epidemia, la società capitolina è stata oggetto di una lunga negoziazione finalizzata alla cessione della stessa da Pallotta a Friedkin, entrambi imprenditori americani. Le trattative sembravano ormai in dirittura di arrivo, con le due diligence in fase di chiusura.
Ebbene, il coronavirus ha sicuramente stravolto le ipotesi economico-finanziarie alla base del prezzo di acquisto. La Roma, come tutto il calcio, dovrà infatti convivere con un giro d’affari inferiore per un periodo di tempo indeterminato. Quindi, oggi la Roma ha un valore minore. Questo evento insomma è tale da poter rimescolare le carte della cessione.
Il fattore “tempo” qui ha giocato a favore di Friedkin e a sfavore di Pallotta ed immaginiamo quest’ultimo mangiarsi le mani per le sliding doors coincise con l’arrivo del virus in Europa. Se il processo di compravendita fosse stato più breve, adesso Pallotta avrebbe potuto vantarsi di aver chiuso il deal of the year. Invece, la vendita della Roma è un’incognita e, qualora le trattative dovessero proseguire, sarà Friedkin a poter beneficare di una posizione di maggior potere negoziale, chiedendo un sostanziale sconto visto il nuovo contesto economico.
FIORENTINA. Per la squadra viola il discorso è in parte simile a quello della Roma. Anche in questo caso si parla infatti di passaggio di proprietà della società. Questa volta, però, la compravendita è già avvenuta, con la cessione dai Della Valle a Commisso perfezionata a giugno 2019 ad un prezzo che – da quanto si legge – dovrebbe essersi attestato intorno ai 170-180 milioni di Euro.
Non si può dire che l’imprenditore italo-americano sia stato fortunato. Confidente di entrare in un settore remunerativo e di poter sviluppare anche il business legato alla realizzazione del nuovo stadio, il nuovo proprietario si è dovuto innanzitutto imbattere – anche lui, come in precedenza i Della Valle – con gli annosi problemi urbanistici, burocratici e politici che da lungo impediscono la costruzione del nuovo impianto a Firenze.
Adesso, Commisso si è trovato di fronte anche lo tsunami coronavirus, con il business calcio impossibilitato a “fatturare” già da due mesi e con enormi incognite sul futuro. Oltre alle conseguenze dirette, la nuova proprietà dei viola potrebbe forse anche dover fronteggiare effetti indiretti del virus, con un aggravamento delle difficoltà già riscontrate per il progetto di realizzazione del nuovo stadio.
La città di Firenze, infatti, ha nel turismo la sua industria principale e sta subendo un colpo durissimo a causa del lockdown. La sua tenuta economica è messa a dura prova dal crollo dei flussi turistici. Considerando che l’amministrazione comunale presumibilmente avrà altre priorità per un lungo periodo di tempo, immaginiamo che la questione stadio sia improvvisamente scivolata ulteriormente in basso nella to do list del Comune di Firenze.
In questo caso, quindi, il timing dell’investimento e della pandemia hanno giocato a favore dei Della Valle – che sono usciti dalla Fiorentina con valori pre-coronavirus – e a sfavore di Commisso. Ricordiamo comunque che, secondo Forbes, Commisso vanta un patrimonio di 6,1 miliardi di dollari e che quindi dispone delle risorse finanziarie necessarie per fronteggiare le attuali difficoltà.
INTER E MILAN. Le trattiamo insieme perché in questo caso l’argomento è il nuovo stadio e le due società, si sa, intendono costruirlo assieme ed intendono anche farlo in fretta. Nelle loro strategie, infatti, lo stadio di proprietà rappresenta un tassello fondamentale per poter ambire a recuperare terreno e contrastare il dominio della Juventus.
Con la crisi indotta dal coronavirus, il grosso punto interrogativo è rappresentato dal colpo che potrà subire il settore real estate a Milano. La città ha conosciuto un boom di investimenti impressionante negli ultimi anni, diventando uno dei principali poli internazionali del settore immobiliare. Come ripartirà una volta superata l’attuale crisi? Riuscirà a lasciarsi dietro le spalle il periodo buio in cui, purtroppo, è diventata l’epicentro di questa crisi in Italia? Sarà in grado di riprendere il cammino interrotto con la stessa capacità di attrarre capitali e investimenti?
Lo scenario per i grandi investimenti è senz’altro cambiato e, a questo punto, potrebbe tornare in gioco anche la valorizzazione dell’attuale stadio Meazza di San Siro, con una ristrutturazione mirata ad avvicinarsi al meglio agli standard dei nuovi stadi, per la gioia dei tifosi più romantici che non accettano l’idea di veder abbattere uno stadio che ha segnato la storia del calcio.
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