Scuola: come si stanno comportando le altre nazioni nel resto d’Europa?

La sensazione che il Governo, rimandando a settembre ogni scelta sulla riapertura delle scuole, sia stato superficiale nei confronti dei bambini e dei genitori, se non addirittura ingiusto, mi assilla. Però mi guardo intorno e non vedo tutta questa preoccupazione. Anche il TG de La7, cui affido solitamente la sessione informativa serale, ieri sera non ha minimamente trattato l’argomento dell’assenza totale di un piano di riapertura delle scuole da parte del Governo. Eppure, di argomenti – tutti meritevoli di attenzione – legati alla cosiddetta Fase 2, ne ha toccati molti: congiunti, aziende, parrucchieri, estetiste, confessioni religiose e altro. Della scuola, ostinatamente, nessuno che abbia una minima cassa di risonanza vuole parlarne.

Ma allora, è solo una mia percezione questo senso di abbandono che provo pensando ai bambini in questi giorni? Sono solo io che a tavola ne parlo a bassa voce con mia moglie, per non farmi sentire dalla prole, perché – forse stupidamente – provo vergogna nel far capire che lo Stato non sta pensando a loro? Sono solo io a ritenere che sei mesi (sì, sei mesi) di lontananza dai banchi di scuola siano un’esagerazione anche di fronte alla più grande crisi dei nostri tempi?

Mi sono fatto un giro sul web per cercare di capire come si stanno comportando gli altri Paesi europei. Perché, a questo punto, vorrei capire se si tratta solo di un problema nostro o meno.

Svizzera > scuole primarie dall’11 maggio, mentre l’8 giugno sarà il turno delle scuole superiori e delle università

Austria > qui hanno optato per la ripresa graduale del sistema scolastico, iniziando il 4 maggio con classi dimezzate e ripartizione della settimana in due gruppi

Francia > per Macron l’apertura delle scuole è considerata una priorità al pari delle attività lavorative. Si lavora quindi per una ripartenza in data 11 maggio, anche andando parzialmente contro le indicazioni del comitato tecnico-scientifico che, in materia, consiglierebbe un approccio più prudente

Germania > qui si tornerà a scuola a partire dal 4 maggio, con priorità per esaminandi e comunque ricorrendo alla suddivisione in gruppi

Norvegia > le scuole hanno ricominciato questa settimana, con un limite di quindici alunni per classe. I bambini sono divisi in gruppi di sei, usufruendo di diversi edifici del comprensorio

Danimarca > è stato il primo Paese europeo a riaprire asili nido, scuole dell’infanzia e scuole elementari. Il 10 maggio sarà il turno degli studenti delle scuole medie e superiori

Spagna > è la nazione che più ci somiglia sia antropologicamente che a livello di impatto del Coronavirus. Ad oggi non ha preso una decisione in merito al momento di riapertura delle scuole. Tuttavia, si dà per probabile la fine di maggio, con trattamento differenziato regione per regione in base alla gravità della situazione sanitaria

NÉ MAL COMUNE, NÉ MEZZO GAUDIO. Speravo di uscire da questa ricerca sul web rinfrancato dall’adagio “mal comune, mezzo gaudio”. Ne esco invece con uno stato d’animo aggravato. Alla delusione, infatti, si è aggiunta la rabbia.

Rabbia, sì, perché penso che il trattamento infelice riservato agli studenti italiani sia frutto anche del fatto che loro non hanno un sistema di lobby che li supporti nei confronti del Governo, difendendo le proprie richieste e possibilmente mettendo le pressioni necessarie. In assenza di avvocati difensori dei propri diritti – quando invece i diritti di tutti gli altri soggetti sono tutelati da enti ed organizzazioni ad hoc, siano essi sindacati, associazione di imprese o altro – gli studenti sono stati messi in coda rispetto a tutti.

Altri comparti, chi più chi meno, hanno potuto fare affidamento su una contrapposizione con il Governo e con le relative task force, chiedendo i tempi di riapertura e i provvedimenti ritenuti più opportuni per le proprie esigenze. I bambini e i ragazzi no. Loro sono a casa a studiare, da soli o con i propri genitori, e non hanno potuto contare su nessuno che facesse valere le proprie istanze sui tavoli negoziali. Perché di negoziazione, in fin dei conti, si è anche trattato. La decisione su quali attività aprire prima e quali dopo è stata probabilmente il frutto anche di una serie di negoziazioni. E, anche questa volta, hanno pesato i soggetti più potenti.

PIL E SCUOLA. Si aggiunge che il Governo, nelle sue decisioni, sembra essere guidato solo da ciò che si riflette direttamente sul PIL. Sono infatti già disponibili previsioni statistiche catastrofiche sulla caduta del PIL a seguito del Covid-19. E il Governo, giustamente, ne ha tenuto conto, sentendosi responsabilizzato per la tenuta economica del Paese.

Per la scuola, purtroppo, non esiste un dato statistico così immediato. Gli effetti di certe scelte si vedono negli anni a venire e si disperdono. È impossibile dimostrare in maniera oggettiva il danno che subiranno i nostri figli per le decisioni di oggi. Se e quando tale danno si verificherà, sarà impossibile attribuirne la causa alla posizione del Governo di questi giorni. Sarà molto facile, invece, scaricare le colpe sui prossimi Governi o su quelli precedenti. Non c’è, insomma, un nesso diretto tra l’attuale linea governativa e i futuri ed eventuali danni (conoscitivi, di apprendimento, sociali, relazionali) che potranno avere questi bambini quando saranno uomini o donne. Tutto questo, forse, contribuisce ulteriormente a relegare il sistema scuola, in quanto i decisori non si sentono più di tanto responsabili degli effetti.

È SEMPRE UNA QUESTIONE DI VOTI – Si conferma inoltre una triste verità, che mi ha fatto notare un caro amico. La scuola è sempre stata vista dalla classe politica come un bacino di voti. Questi voti però sono i voti di chi nel sistema scolastico ci lavora, non dei bambini. Ed anche questo fattore suppongo abbia avuto un certo peso. Altrimenti risulta difficile spiegarsi per quale motivo non è stata presa in considerazione l’ipotesi di recuperare il tempo perduto restringendo, ad esempio, le vacanze estive da tre mesi a due mesi; oppure, usufruendo di altri edifici pubblici o di spazi aperti recintati per distribuire gli studenti in spazi più ampi ed aumentare quindi il distanziamento sociale; oppure, ancora, ripartendo le classi in sessioni mattiniere e sessioni pomeridiane.

La situazione è di emergenza e di questo avrebbero dovuto prenderne atto tutti, facendo ognuno un passo in più rispetto al proprio mero dovere contrattuale. Tutto questo, solo per un’esigenza superiore: il bene dei nostri bambini e dei nostri ragazzi.

Ecco. Ricordiamoci però che i bambini non votano, ma i genitori sì. Quei genitori a cui preme la formazione dei propri figli e una sana crescita relazionale, prima o poi saranno chiamati al voto. E si spera quindi che – insieme a tutti gli altri fattori – tengano a mente delle scelte fatte (fosse meglio dire “non fatte”) dal Governo per i propri figli in questo momento storico, dandogli il giusto peso. Perché la scelta, o non scelta, è stata del Governo, non del comitato tecnico-scientifico. La Francia, che politicamente su questo punto è in parte andata contro le indicazioni del comitato tecnico-scientifico, è lì a dimostrarlo.

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