Eppur mi son scordato di te è una vecchia canzone dei Formula Tre ma potrebbe benissimo essere un messaggio lanciato dal Premier Giuseppe Conte verso alcune delle categorie di questo paese. Nella sua supercazzola domenicale, infatti, il Presidente del Consiglio non ha considerato una discreta parte di lavoratori. O meglio, li hai identificati come “quelli del 1 giugno”.
Parrucchieri, centri estetici, bar, centri massaggi et similia: loro sono quelli che riapriranno dal 1 giugno. Peccato che sia lunedì, giorno di chiusura, e che il 2 giugno sia festa nazionale. Peccato anche che gli stessi abbiano anche gli affitti da pagare, le utenze, le scadenze bancarie, i contributi. Insomma, Conte si è dimenticato di tante persone che contribuiscono all’economia di questo paese lasciandoli così, senza risposte.
Perché no, ancora non si sono visti gli aiuti per imprese, le agevolazioni, le utenze bloccate. Non si è visto niente di niente, a parte uno zuccherino chiamato 600€ che sì, ha aiutato a pagare qualche cosa nel negozio, ma di certo non permette a tutte queste persone di andare avanti. Senza lavorare non si mangia. Per capire meglio cosa stia succedendo nel mondo dei parrucchieri, abbiamo contattato Teresa Guida, proprietaria del salone T.Style di Campi Bisenzio.
Quale è la situazione che voi parrucchieri state vivendo durante la quarantena?
“Io personalmente ho una situazione salda avendo un’attività dal 1993. Ma, tutto quello perso, nessuno ce lo renderà. Però, parlando e facendo gruppo con molti colleghi, posso dire che in tanti sono in crisi. Per esempio ho alcune colleghe che dovevano aprire il nuovo negozio a metà marzo, poi con la prima chiusura si è fermato tutto. Loro sono rimaste col negozio finito e da inaugurare. Le persone hanno fatto investimenti e continuano a avere spese, tanti colleghi vivono giorno per giorno. Per questo, anche qua su Campi Bisenzio, ci stiamo compattando.”
Perché lo state facendo? Quale è la maggiore problematica da affrontare insieme?
“Il Premier Conte ci ha detto di restare chiusi per questioni di sicurezza. Io penso che, con le giuste norme e precauzioni, uno o due clienti alla volta e ben distanziati li potremmo far entrare. Certamente non la ressa di prima, ma un minimo si potrebbe lavorare. Se ci tieni chiusi, allora servono soldi a fondo perduto perché abbiamo affitti e pagamenti da sostenere. Qualcuno rischia di non riaprire. In tutto questo, poi, ci sono quelli che liberamente continuano a fare i parrucchieri a domicilio. Noi che abbiamo un negozio siamo costretti a rimanere chiusi, ma questi continuano a girare liberamente. A me hanno chiamato per farlo, non lo nego, ma ho rifiutato. Per questo, insieme a tante colleghe, vorremmo lavorare insieme ai sindaci delle nostre città per sensibilizzare a non chiamare queste persone a casa. Queste, ovviamente, non smetteranno ma proviamo comunque a fermarle.”
Quale è la principale problematica del lavorare con tutti i dispositivi di sicurezza e a distanza?”
Il vero distanziamento non si può tenere, specie in un lavoro come il nostro. È chiaro che indosseremo guanti, mascherine e visiere. Lavorare così non è facile: ti crea panico perché non fai bene il tuo lavoro. Però lo faremo anche perché credo che, con tutte le protezioni del caso, uno possa tornare nel proprio negozio.”
Rispetto a un abusivo, quante sono le vostre spese? E quanto può costare una multa nell’andare a casa?
“La multa si aggira sui mille euro e, pensandoci, quasi mi conviene. Abbiamo da pagare affitti, utenze, iva, nettezza, contributi, straordinari. Tutte queste spese chi lavora a casa non le ha. Noi ci mettiamo la professionalità, ma qui uno con mille euro si leva il pensiero. Anche i seicento euro sono un aiuto, ma a tanti colleghi non sono arrivati. Intanto, le spese vanno avanti.”
Cosa ti manca di più del tuo negozio?
“Mi mancano le mie clienti, soddisfarle col mio lavoro. Mi manca il contatto con la gente. Sì, provo a dare consigli online ma mi manca ridere, scherzare e stare con loro.”
Per quanto possa contare, chi scrive sarà sempre dalla parte di tutte queste categorie non considerate e, fino a quando ci sarà permesso, proveremo a raccontare cosa succede in questo paese tramite le loro voci.
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