Simone Cantaridi e un destino beffardo

Sterminò nel 1999 la famiglia, esattamente ventuno anni dopo ha perso la vita in un incidente stradale.

Prato, 14 aprile 2020. Piena emergenza coronavirus. In una via Firenze deserta, si è appena consumato un terribile incidente stradale. Una macchina si è schiantata a forte velocità contro un albero e le condizioni del conducente appaiono subito disperate. Alla guida non c’è uno qualunque, c’è il protagonista di uno degli omicidi più efferati che la Toscana si ricordi negli ultimi trent’anni.

Dicono che prima di morire passi tutta la vita davanti, come in un film. Chissà cosa ha visto Simone Cantaridi, 46 anni originario di Piombino, da tempo residente nella città laniera, un’esistenza tranciata dal rasoio della follia. In quella notte di primavera di ventuno anni fa, Piombino, cuore pulsante della siderurgia italiana, viene sbalzata giù dal letto per un boato devastante. In via Landi, è esplosa una palazzina. Il crollo non ha dato scampo a due donne e a una bambina. Unico sopravvissuto è Simone Cantaridi, marito, fratello e padre delle tre vittime.

Un incidente si pensa all’inizio, una di quelle tragedie che lascia sgomenti e increduli. La solidarietà è unanime, la città e le istituzioni si stringono intorno a quel ragazzo di 25 anni che ha perso tutto. Arriva anche la chiamata del presidente della repubblica dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro. Il giorno prima dei funerali, tuttavia, arriva una svolta inaspettata che cambierà il volto di questa tragedia. Durante un sopralluogo supplementare, grazie allo sguardo attento e scrupoloso di un investigatore, nel cassetto della camera da letto della palazzina di via Landi, viene rinvenuto un coltello annerito con delle macchie brunastre. Simone deve dare una spiegazione convincente ai carabinieri. Ascoltato dagli uomini dell’Arma, dal letto dell’ospedale in cui è ricoverato per le ferite riportate durante l’esplosione, crollerà quasi subito, ammettendo il triplice omicidio, aggiungendo che lui stesso ha provato a togliersi la vita col gas. Ma il movente?

Cantaridi tace. Ammette le sue responsabilità, ma non vuole parlare. Un muro di gomma, impenetrabile. Neanche durante il processo si chiarirà il perché. Processo che si chiuderà con una condanna a 16 anni grazie al rito abbreviato e alla seminfermità mentale. Durante la detenzione nel carcere della “Dogaia” di Prato, Cantaridi appare cambiato. La laurea in Teologia, un comportamento irreprensibile con guardie e detenuti e il percorso spirituale interiore intrapreso con il cappellano del carcere, lo portano nel 2009 alla libertà anticipata. Simone decide di restare a Prato, nel 2012 si sposa e riesce a trovare lavoro in un supermercato. Un buon esempio di riabilitazione.

Ma lo sappiamo, i demoni del passato non scompaiono mai del tutto. Date voi un nome di fantasia a questo demone, anzi a questi quattordici demoni, che sono tornati nella vita di Simone esattamente ventuno anni dopo. Una simbologia grottesca, la roulette della vita.

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