In questi giorni di piena emergenza per il Coronavirus stiamo assistendo all’ennesima ondata di malumori nei confronti delle istituzioni europee e, in generale, di quell’Europa troppo spesso avvertita come un’entità astratta. Le difficili negoziazioni che il Governo italiano sta affrontando nell’ambito dei tavoli europei ed il quotidiano susseguirsi di notizie che vorrebbero il nostro Paese quasi completamente solo contro il sistema europeo (e soprattutto contro i paesi del nord Europa) stanno infatti contribuendo a rimpinguare numericamente quella fazione di cittadini che non vorrebbero avere niente a che fare con l’Europa e che sostengono che, dalla partecipazione all’Unione Europea, derivino per noi più svantaggi che vantaggi.
A riflettere bene, però, viene da domandarsi perché il nostro Paese vada a reclamare così fortemente il sostegno dell’Europa, quando altri Paesi che hanno avuto un numero di contagi addirittura superiore a quello dell’Italia (è il caso della Spagna) o leggermente inferiore a quello dell’Italia (è il caso di Francia e Germania) sono in una posizione ben più defilata nell’ambito di questa battaglia per gli aiuti europei. La risposta è probabilmente da cercare in buona parte – ed anche questa volta – nella situazione dei conti pubblici italiani, ossia nel famigerato debito pubblico. Che lo si guardi in termini assoluti (circa 2.443 miliardi di Euro) oppure in termini relativi rispetto al PIL (circa il 138% del PIL), il risultato non cambia: l’Italia primeggia in questo dato numerico che si riflette nella vita di tutti noi. Il dato è così pesante da non consentire al nostro Paese di far fronte all’emergenza solo con le proprie forze, diversamente da quanto accade per gli altri paesi europei. Appare quindi velleitario o meramente negoziale il messaggio recapitato dal Presidente Conte ai partner europei, secondo cui se l’Europa non aiuterà l’Italia con strumenti adeguati, l’Italia farà da sola. L’Italia, infatti, non è assolutamente in grado di fare da sola, perché il suo debito pubblico non glielo consente.
Ma se il nostro debito pubblico è così elevato, è colpa dell’Europa oppure è colpa della mala politica che ha portato le casse dello Stato in queste condizioni?
Intendiamoci. Dal mio punto di vista è legittimo chiedere la solidarietà ed il supporto dell’Europa, perché l’Italia sta pagando un conto salatissimo a causa del Coronavirus, considerando che l’emergenza sanitaria ed economica ha colpito in primis il motore dell’economia italiana (Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna). La richiesta di supporto e di solidarietà non deve però tramutarsi in avversione e rabbia verso le istituzioni europee allorquando i soldi non arrivano “subito” e “a pioggia”, ovvero senza condizioni. Far arrivare i soldi “a pioggia” – come vorremmo tutti in un mondo ideale – significherebbe riversare sulle tasche dei tedeschi, degli olandesi e di tutti gli altri cittadini europei le nostre colpe passate e la nostra incapacità (purtroppo a mio avviso immutata) di fare buon conto dei soldi dello Stato.
Ma veniamo ai motivi per cui l’Italia non può fare a meno dell’Europa, a maggior ragione oggi che il nostro Paese risulta fortemente indebolito dal nemico Coronavirus.
Il primo motivo, banale se vogliamo ma non sufficientemente sottolineato in questi giorni, è che se non ci fosse la BCE a comprare senza limiti i titoli di Stato italiani, oggi il nostro Paese sarebbe con buona probabilità impossibilitato ad accedere ai mercati finanziari. Ciò, detto in parole povere, significherebbe che l’Italia non avrebbe più la liquidità per pagare le pensioni, per tenere aperti gli ospedali o i tribunali, per rifornire di benzina le volanti della polizia, ecc.. Qualcuno ha qualche idea alternativa su come sostituire un compratore come la BCE con un altro soggetto avente una potenza di fuoco equiparabile?
E’ chiaro che l’altra faccia della medaglia per il fatto di avere la BCE come compratore massivo di titoli di Stato italiani è rappresentata dal fatto di essere assoggettati ad una sorta di “sorveglianza attiva” da parte delle istituzioni europee e, in generale, di tutti i creditori. Chi di noi presterebbe soldi senza avere fiducia nel debitore o senza controllare che ci vengano restituiti alle dovute scadenze e secondo le condizioni concordate? Nessuno. Non cambia molto il fatto che l’ente indebitato sia una famiglia, un artigiano, un’impresa o uno Stato. I creditori – in questo caso la BCE e gli altri compratori di titoli di Stato italiani – vogliono avere voce in capitolo sull’utilizzo dei soldi prestati e, conseguentemente, l’autonomia decisionale del soggetto indebitato si restringe sempre più. Questo perché chi ha prestato soldi vuol essere certo di poterli riavere e non è disposto a darne altri senza condizioni. Allo stesso tempo, però, i creditori non hanno convenienza a far fallire il debitore (soprattutto se grosso, come l’Italia), perché altrimenti registrerebbero una perdita secca nei propri bilanci. Ai creditori conviene tenere in vita il debitore, lasciandogli un briciolo di libertà in più solo se e quando il debitore dimostrerà via via di essere più affidabile. In questo gioco di interessi sta la negoziazione tra le parti.
Il secondo motivo per cui l’Italia non può fare a meno dell’Europa è che se non ci fossero le istituzioni europee a “controllare” i conti del nostro Stato, gli italiani – per propria natura – ricadrebbero nell’errore della spesa pubblica smisurata, quella che negli anni passati ha mandato in pensione gente di 40 anni o che ha “regalato” ottime aziende pubbliche all’amico del politico di turno o che ha sperperato miliardi di Euro con il sistema delle tangenti. Cioè, senza il controllore europeo l’Italia tornerebbe molto probabilmente a fare quegli errori che ci hanno portato nella situazione attuale di debito esagerato con effetti riversati sulle generazioni a venire.
Detto questo, è giusto che l’Italia negozi in Europa per ottenere degli accordi che siano rispettosi del ruolo e dell’importanza del Paese e della situazione congiunturale che sta attraversando. È altrettanto giusto che lo faccia per dare quella spinta che occorre per far crescere l’Europa verso un’unione che sia anche politica, fiscale, finanziaria, militare, ecc.. È ancor più giusto infine che, passata la bufera del Coronavirus, l’Italia ponga sui tavoli europei il tema della sperequazione fiscale operata da paesi quali Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo. Non può essere tollerata ancora la presenza di paradisi fiscali o sistemi di fiscalità fortemente squilibrata all’interno dell’Unione Europea. Ciò ha portato a troppi casi di primarie aziende italiane (ma anche francesi, spagnole o tedesche) che hanno deciso di spostare la loro sede societaria e fiscale in tali Paesi, arrecando un danno enorme alle casse del reale Stato di appartenenza.
Sarebbe addirittura auspicabile – ma qui si entra nel mondo dei sogni – che le istituzioni europee (Consiglio, Banca Centrale, Commissione, Parlamento, ecc.) non fossero tutte localizzate nel nord Europa e che fossero distribuite in maniera più equa tra nord e sud Europa, magari (se fattibile) con un sistema di sedi rotative tra i vari Paesi.
Intanto, in questa fase storica quello che è certo è che l’Italia può chiedere supporto all’Europa e adoperarsi per un ruolo di propulsore per il miglioramento della stessa Unione Europea, ma non può rompere il tavolo delle negoziazioni, semplicemente perché non può permettersi di fare a meno della sua casa.
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